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15/03/2017 - Articoli, Notizie

La plastica nel piatto: rapporto di Greenpeace. Parte I

La plastica nel piatto: rapporto di Greenpeace. Parte I
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Nel 2016 Greenpeace ha pubblicato un rapporto sull'impatto delle microplastiche su pesci, molluschi e crostacei e sui rischi di contaminazione di tutta la catena alimentare. In questo articolo riportiamo alcuni dei dati principali sulla contaminazione della fauna ittica.

Nell’agosto 2016 Greenpeace ha pubblicato un rapporto sull’impatto delle microplastiche sugli organismi viventi e sui rischi di contaminazione di tutta la catena alimentare. La rassegna “Plastics in seafood” condotta dai “Greenpeace Research Laboratories” mette in evidenza i risultati delle recenti ricerche scientifiche sull'impatto delle microplastiche su pesci, molluschi e crostacei.

Come abbiamo già detto molte volte la presenza di enormi quantitativi di plastica in mare è fonte di grande preoccupazione a causa della scarsa biodegradabilità di questo materiale e “dell’ampia dispersione su scala globale”. Tuttavia se l’effetto delle macroplastiche (maggiori di 25 millimetri) e delle mesoplastiche (tra i 5 e i 25 millimetri) è devastante per l’ambiente marino e limitrofo, esiste un’ulteriore minaccia, ovvero quella delle microplastiche.

Secondo Greenpeace per microplastiche si intendono quelle “particelle di plastica di diametro o lunghezza inferiore ai 5 mm, che
possono essere prodotte dall’industria (come le microsfere utilizzate in molti prodotti cosmetici o per l’igiene personale), o derivare dalla degradazione in mare di oggetti di plastica più grandi per effetto del vento, del moto ondoso o della luce ultravioletta
”.

La presenza di microplastiche può essere potenzialmente ancora più dannosa rispetto alle macroplastiche e alle mesoplastiche infatti questi piccoli frammenti, a causa delle loro dimensioni, possono essere ingeriti involontariamente dagli animali come pesci, crostacei e molluschi inoltre, a causa del maggior rapporto superficie/volume, possono assorbire più contaminanti tossici (a parità di peso) dei frammenti di maggiori dimensioni.

In questo rapporto (che potete trovare in formato integrale qui) Greenpeace ha raccolto i risultati dei più recenti studi sulla diffusione delle microplastiche in ambiente marino e soprattutto l’incidenza e la diffusione delle microplastiche all’interno dei prodotti ittici quali pesci e molluschi e sugli eventuali effetti sanitari derivanti dal consumo di questi prodotti.

La diffusione delle microplastiche all’interno degli organismi marini è ampiamente documentata e, nel rapporto, Greenpeace riporta uno studio condotto su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo centrale. Le specie analizzate sono quasi tutte presenti sul mercato ittico italiano come il pesce spada, il tonno rosso e il tonno alalunga e, da quanto emerge, sono stati ritrovati frammenti di questo materiale nel 18, 2% dei casi. Studi analoghi, eseguiti su 26 specie di pesci presenti sulle coste atlantiche del Portogallo, hanno rilevato presenze di microplastiche nel 19,6 % dei casi, mentre uno studio specifico sugli scampi (Nephropos norvegicus) ha dimostrato la presenza di frammenti di plastica nello stomaco dell’83 per cento degli esemplari raccolti lungo le coste britanniche.

Numerosi studi condotti in Brasile, Cina, e Europa hanno infine ampiamente dimostrato la presenza di plastica nei molluschi, tra cui cozze e ostriche. Per esempio le analisi fatte sulle cozze brasiliane hanno evidenziato la presenza di microplastiche nel 75 per cento dei campioni analizzati. Gli organismi marini possono infatti ingerire le microplastiche in diversi modi: “gli organismi filtratori, come le cozze, le vongole o le ostriche, possono semplicemente contaminarsi con l’acqua che filtrano per nutrirsi, mentre i pesci possono ingerirle sia direttamente, scambiandole per prede, che attraverso il consumo di prede contaminate”. Una volta ingerite, queste particelle possono raggiungere il sistema circolatorio e permanere nell’organismo per oltre 48 giorni.

Il pericolo maggiore tuttavia riguarda l’uomo infatti la contaminazione può risalire la catena alimentare e finire sulle nostre tavole. Nel prossimo articolo approfondiremo i dati pubblicati da Greenpeace che raccontano una situazione molto allarmante.

Gianluca Pedemonte

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Il Mare in 3D, Scienza&Società