08/03/2017 - Articoli, Notizie
La plastica ucciderà il mare?
Secondo uno studio condotto dalla fondazione Ellen Mac Arthur negli oceani finiscono otto milioni di tonnellate di plastica ogni anno e tra quindici anni potrebbe essere il doppio.
Lo scorso gennaio, in occasione dell’apertura del forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, la fondazione Ellen Mc Arthur ha presentato uno studio intitolato ‘The New Plastics Economy: Rethinking the future of plastics’, realizzato in collaborazione con il World Economic Forum. Lo studio (che potete trovare nella sua versione integrale qui) propone di ridisegnare un’economia globale dove la plastica, grazie all’applicazione dei principi dell’economia circolare, possa essere riciclata al fine di limitarne la dispersione. L’economia circolare, proposta dalla fondazione, teorizza un sistema economico pensato per autorigenerarsi. In questo modo si aumenta la lunghezza della vita dei prodotti e, di conseguenza, si diminuisce la quantità dei rifiuti. In questa economia circolare i flussi di materiali appartengono a due categorie differenti; i rifiuti biologici, destinati a essere integrati con la biosfera, e quelli tecnici che dovrebbero essere semplicemente rivalorizzati.
Per stilare il report presentato a Davos, la fondazione MacArthur ha consultato più di 200 pubblicazioni e ha collezionato il parere di 180 esperti mondiali. I dati più sorprendenti emersi da questo report sono due, uno di carattere economico e uno di carattere ambientale. L’analisi evidenzia che, a livello globale, la maggior parte della plastica destinata al packaging, ossia gli imballaggi dei prodotti che compriamo, viene utilizzata una sola volta. Il valore di questa plastica si aggira tra gli 80 e i 120 milioni di dollari annui, una cifra enorme soprattutto se si pensa che il 95% di questa plastica viene dispersa o destinata ai rifiuti. Il secondo dato sconvolgente riguarda proprio la quantità di plastica dispersa in mare, infatti, nello studio si prevede che, in termini di peso, nel 2050 potrebbe esserci più plastica in mare che pesci.
Oggi meno del 5% della plastica mondiale viene riciclata, il 40% finisce in discarica e la restante parte viene dispersa nell’ambiente. Nei mari del pianeta, infatti, galleggiano oltre 270 mila tonnellate di plastica, ossia 5.250 mila miliardi di particelle di plastica. Cifre da capogiro soprattutto se rapportate all'importanza del settore marittimo, sia nell'ambito dei trasporti che in quello turistico.
Se entro il 2025 non verranno attuate delle strategie efficaci contro l’inquinamento marino, gli oceani conterranno 1,1 tonnellate di plastica ogni tre tonnellate di pesce fino ad arrivare al sorpasso della plastica sui pesci. Ogni anno, prosegue lo studio, almeno otto milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. All'incirca come se un camion sversasse un carico di immondizia al minuto nell'oceano.
Se non si interviene, entro il 2030, questa enorme quantità di rifiuti raddoppierà fino a raggiungere, nel 2050, ben quattro carichi di immondizia sversati nei mari da altrettanti camion, ogni minuto. Una ricerca condotta da Oceans Conservacy rivela che il 60% della plastica dispersa in mare proviene da cinque paesi asiatici: Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam.
I rischi per l'ecosistema mondiale (e per l’uomo) sono enormi: infatti, come vi abbiamo già raccontato qui, pezzi di plastica ingeriti dai pesci influiscono sul loro sistema endocrino e immunitario, risalendo così la catena alimentare fino ad arrivare nelle nostre tavole e nel nostro organismo. Nello studio di MacArthur viene infine proposto di creare un organismo competente che tenti di coordinare la riduzione del materiale utilizzato per il packaging.
Gli studiosi dell’Imperial College di Londra suggeriscono di iniziare la bonifica dalla pulizia delle coste e non da quella delle grandi isole di plastica. Infatti, secondo i ricercatori, la maggior parte della plastica dispersa si trova sulle coste dove poi viene trasportata in acqua dalle maree. Bloccare questo flusso sarebbe fondamentale per evitare che la quantità di plastica aumenti e contribuisca alla creazione di nuove garbage patch.
I ricercatori britannici hanno anche studiato, attraverso l’analisi delle maree e degli spostamenti della plastica, delle zone dove posizionare delle ‘barriere’ per microplastiche. Essi hanno scoperto che posizionare queste barriere per dieci anni vicino alle coste, in particolare nella zona tra la Cina e l’Indonesia, eliminerebbe circa il 31% delle microplastiche disperse in mare. Se invece le stesse barriere venissero posizionate in prossimità delle isole di rifiuti verrebbe eliminato solo il 17% delle microplastiche disperse. Questo dato è molto significativo perchè dimostra che, nonostante i danni già arrecati, la più grande percentuale di plastica dispersa si trova ancora sulle coste e sui litorali dove è possibile recuperarla e riciclarla prima che questa venga dispersa nel mare e negli oceani.
Gianluca Pedemonte