10/03/2017 - Articoli, Notizie
Plastica nel Mediterraneo: allarme del CNR
Una ricerca condotta in collaborazione con altri istituti di ricerca rivela una concentrazione altissima di plastica lungo i litorali italiani. La maggiore concentrazione si trova tra la Toscana e la Corsica.
Il Mediterraneo occidentale è la zona con maggiore concentrazione di microplastica del pianeta. A rivelarlo è uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Scientific Reports e condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Ismar-Cnr), in collaborazione con le Università di Ancona, del Salento e Algalita Foundation (California). Secondo quanto emerge da questa ricerca la più alta concentrazione di microplastiche di tutto il Mediterraneo occidentale si trova tra l’isola di Capraia e la Gorgona dove le quantità disciolte in acqua raggiungono i 10 kg per chilometro quadrato. Le quantità diminuiscono al largo delle coste sarde, siciliane e pugliesi dove si fermano a “soli” 2 kg per kmq.
Numeri da capogiro, infatti queste concentrazioni sono maggiori perfino a quelle delle garbage patch, le isole di spazzatura che si trovano nel Pacifico (se volete saperne di più cliccate qui). "Nel complesso - scrivono i biologi nello studio - la plastica è meno abbondante nell’Adriatico, con una media di 468 grammi per chilometro quadro, rispetto al Mediterraneo occidentale con una media di 811 grammi".
Lo studio della qualità delle acque del mare nostrum è durato circa tre anni durante i quali i frammenti di microplastica sono stati raccolti grazie ad una rete speciale trainata dalla nave Urania, di proprietà del CNR. La maggior parte del tempo è stata dedicata all’analisi di questi microframmenti. Infatti, dopo aver fatto tappa in 74 punti del Tirreno e dell’Adriatico, i ricercatori hanno analizzato le varie tipologie di materiali pescati.
"Il problema non è solo la plastica in sé” - racconta a Repubblica Stefano Aliani, uno dei coordinatori - "mancano studi approfonditi, ma si pensa che questo materiale sia inerte per gli organismi". Infatti (come vi abbiamo già raccontato nell’articolo ‘un mare di immondizia’, ndr) le microplastiche derivano dalla degradazione della plastica ma principalmente sono assimilabili ai derivati dei prodotti cosmetici. La dispersione di questi prodotti in mare causa un’intossicazione per l’ambiente ma soprattutto per gli animali, che spesso vengono contaminati. “Questi materiali potrebbero agire come pseudo-ormoni, creando scompensi nel sistema endocrino. - conclude Aliani - Abbiamo osservato il problema nelle balene".
Tuttavia non tutti i biologi sono d’accordo con il CNR di Lerici. Per esempio Fabrizio Serena dell’ARPAT ha dichiarato a ‘Il Tirreno’ “A mio avviso la raccolta di materiale in mare va fatta in un arco di tempo più lungo, almeno di 5 anni, e deve essere seguita la direttiva europea Marine Strategy del 2008. Prima – continua Serena – ci vuole un’attenta fase di monitoraggio e mi sembra pericoloso lanciare messaggi allarmistici su un fenomeno, quello delle microplastiche, che comunque riguarda tutti i mari del mondo".
La ‘Marine strategy’ è una direttiva europea emanata nel giugno 2008, e recepita in Italia con il d.lgs. n. 190 del 13 ottobre 2010, che prevede di ridurre le pressioni sulle risorse marine oltre alla salvaguardia e al ripristino dell’ecosistema. Secondo questa direttiva gli Stati membri dell’Unione dovrebbero raggiungere entro il 2020 il buono stato ambientale (GES, “Good Environmental Status”) per le proprie acque marine.
Fortunatamente la distribuzione della plastica nel Mediterraneo non è omogenea, ma dipende dalla differenza della pressione abitativa sulle coste, dalle foci dei fiumi e dalle correnti tuttavia i dati diffusi sono allarmanti. Per capire meglio la gravità della situazione basta pensare che nel 1999 nel vortice subtropicale del Pacifico settentrionale sono stati stimati circa 335 mila frammenti di plastica per kmq, mentre nel Mediterraneo si parla di una media di circa quattro volte superiore.
Gianluca Pedemonte